Ovvero: la neve, Trenitalia e la caldaia.

Una dovrebbe esserci allenata, alla pazienza. Basta lavorare in una città come Roma (che di suo ce la mette tutta, tra auto parcheggiate alla come capita e in particolare sulle strisce pedonali, mai riconosciute se si cerca di attraversare, la lingua italiana abbandonata a se stessa ed una cortesia che proprio non le riesce).


Poi ci sono i clienti da inseguire, i lavori da seguire, il capo da accontentare, le fatture, le convocazioni, la posta, le banche, le telefonate. Tutta la routine quotidiana insomma.

Poi, un bel giorno, arriva la neve. 
Io ho sempre amato la neve, tutto quel candore, la danza allegra dei suoi fiocchi, il cielo bianco e freddo. La neve mi rende sempre felice, mi fa tornare bambina. A Genova speravo sempre che nevicasse ed ogni tanto venivo accontentata. Anche qui a Roma, giusto due o tre fiocchi, così potevo dire, con soddisfazione, “nevica” e poi tutto finiva lì, poche ore dopo.

Quest’anno dicevano che sarebbe arrivata la nevicata del secolo, sì vabbè, si sa che a questi je piace esaggerare. 
Era un venerdì mattina, nevischiava, vado al lavoro lo stesso. Con me c’era Angelo, per un esame a Roma, alla mezza mi chiama dalla stazione, lo raggiungo di corsa, pare che fuori nevichi seriamente e che sarebbe passato un ultimo treno di lì a breve.

Ecco. Il termine “breve” quel giorno ha perso di significato.

Ore 13.36, il treno non passa. Non annunciano nulla, solo sul monitor semplicemente sparisce quel treno e appare quello delle 14,06. Si aspetta. Sparisce anche quello, appare il treno delle 14,36. Nessun annuncio. Questo giochetto va avanti per un po’, non passa nessun treno, solo alcuni nella direzione opposta. Nessun annuncio, nessun treno, si cerca di farsi venire a recuperare da qualcuno che a tentoni sta cercando invano di raggiungere comunque la città, tra strade chiuse e raccordo intasato da camion messi di traverso.

Intanto la banchina si riempie di gente, continua a nevicare, e Roma non ha uno spazzaneve, non ha una pala, nè un paio di catene, l’unico annunciatore di treni rimasto è andato in loop e continua a ripetere che per il giorno dopo sarebbe previsto il piano neve e gelo, tra l’ilarità tipicamente romana e la poca pazienza rimasta.
Pare che un treno passerà, di lì a un’ora, ma non ci crede più nessuno. Proviamo a scendere per procacciarci del cibo e dell’acqua e qualche minuto di calduccio nel bar più vicino. Torniamo e la banchina è quasi del tutto vuota. Pare sia passato un treno, non annunciato e tutti ci si son tuffati a capofitto. Nevica ancora. Poco dopo passa un altro treno fantasma, non ci pare vero. Sono le 16,30 o giù di lì.

Poi il tempo si ferma. Passano le ore, si procede a rilento, ci fanno cambiare treno, pare che gli scambi dei binari si siano congelati, sono passate tre ore per un viaggio di nemmeno un’ora e ancora non si vede la meta, e nemmeno si riesce a raggiungere una stazione. Il nostro treno e quello successivo, abbandonati in mezzo alla campagna tra Olgiata e Cesano. Senza annunci, senza acqua, senza cibo, soli con la nostra pazienza e con un iPad per comunicare al mondo che siamo ancora vivi, senza speranza prima del disgelo, e si è fatta mezzanotte. Poi arriva un Carabiniere che ci dice di scendere e farcela a piedi, poi la Protezione Civile che ci redarguisce e ci fa restare sul treno. Il livello di pazienza è ai minimi storici, in più comincio ad annoiarmi, ho fame, sete, ho la tosse e voglio tornare a casa! Comincio a sbottare. Mancava solo che cominciassi a battere i piedi e piagnucolare come i bambini.

A Cesano ci siamo arrivati che era l’una e mezza di notte, con una motrice diesel capitata lì per caso. Evidentemente il piano neve e gelo della Regione Lazio prevedeva esclusivamente che la gente se ne restasse a casa propria, a fare pupazzi di neve in giardino.

A casa ci siamo arrivati alle due e mezza, a bordo di una camionetta della Santa Protezione Civile superaccessoriata e armata di catene in mezzo ad una bufera di neve, nemmeno la Cassia avevano spalato, figuriamoci l’Anguillarese. A casa il giardino era stracolmo di neve, neve in cortile, neve nei vasi, sul tetto, sul terrazzo, neve ovunque, tanta tanta bianchissima neve. 

Ancora intontita per la serata trascorsa e non volendo soffermarmi a pensarci più di tanto, mi sono dedicata al mio pupazzo di neve, non ne facevo uno da 25 anni, è venuta bellissima (sì, era una femmina).

Passa una settimana, tra la nausea di risalire su un treno e gli immancabili ritardi e disagi, tra le strade ancora non spalate e le camminate sui ghiacci al mattino. Arriva di nuovo venerdì e, dicono, nevicherà di nuovo copiosamente. Stavolta gli crediamo. Ce ne stiamo a casa. Ne è di nuovo scesa tanta, ma tanta. Al punto che, persino io che tanto amo la neve, non ce la faccio più, non vedo l’ora che le strade tornino sgombre dai cumuli di neve, che si veda di nuovo il verde dell’erba in giardino, che i treni tornino a ritardare per i soliti insensati motivi.
Finalmente le temperature salgono, torna il sole, i romani possono tornare a parcheggiare dove capita, senza quel fastidioso ghiaccio che vieta l’accesso ai marciapiedi. 
Passano quanti giorni..?

Perde acqua la macchinetta del caffè, l’assistenza ti spiega quali prove azzardate devi fare per vedere se poi magari riesci a farla funzionare (del tipo che devi pulire l’interno con uno spazzolino da denti o con una clip).
Non riesci a trovare il tempo per dedicarti a queste prove tecnicamente ineccepibili, che ti si rompe la caldaia, così stai pure al freddo, senza caffè senza riscaldamento e senza acqua calda per lavarti. Dice, che ti importa, la casa mica è tua, tocca al proprietario la riparazione.
Appunto, il proprietario. 
A nessuno piace l’idea di una spesa non prevista. A nessuno piace l’idea che si cerchi di farti fesso. A nessuno comunque piace l’idea di stare al freddo nè di tornare alla preistoria quando l’acqua calda non usciva ancora dai rubinetti ma si scaldava sui fornelli.
Si aspetta un tecnico che non arriva e ora si aspetta un tecnico che arriverà.
Io intanto esco a fare la spesa, magari alla Conad trovo anche un sacco di pazienza extra large, visto che la mia si è decisamente esaurita.