La procedura di immigrazione in Svizzera prevede, per i cittadini provenienti dai Paesi UE, alcuni passaggi che mi hanno portata ad avere a che fare con le Autorità Svizzere e con, mio malgrado, alcuni compaesani dal consueto modo di fare italiano.

Al mio arrivo, avevo 8 giorni di tempo per annunciarmi all’ufficio controllo abitanti.

Prima però sono stata all’ufficio immigrazione per la richiesta del permesso di dimora B (ne è previsto il rilascio per i residenti in possesso di un contratto di lavoro e di un contratto d’affitto, o come nel mio caso -ricongiungimento familiare- se è già stato rilasciato al coniuge).

Una volta entrata in ascensore, sono stata raggiunta da due individui, padre e figlio dall’aria tipicamente italiana, che mi hanno chiesto “l’ufficio immigrazione?”, “è al 4° piano, ci sto andando anche io”. Si sale e, una volta che le porte si sono riaperte al piano desiderato, i due si sono fiondati fuori dall’ascensore come due saette, precipitandosi a raggiungere l’ufficio prima della sottoscritta. La cavalleria, come si diceva una volta, l’abbiamo lasciata ai cavalli. Non avrei chiesto tanto, almeno un grazie. Mi sono così ritrovata a pensare, con tono di totale disprezzo, “italiani..” e una volta raggiunti in colonna devo averli guardati con aria talmente sprezzante che non mi hanno più rivolto lo sguardo..

Passati 5 minuti (credo che negli uffici svizzeri non sia prevista un’attesa più lunga), arriva il mio turno.

L’impiegato, dal fare tipicamente ticinese, è gentile e meticoloso. Controlla con cura i documenti e ringrazia per aver portato anche le fotocopie. Si siede alla scrivania, scrive e poi mi fa una domanda che mi turba leggermente “deve fare qualche trapasso?”.

Come dice lo Svizzionario “Non sai parlare l’italiano finché non sai parlare lo svizzero. Entra anche tu nel rutilante mondo degli elvetismi.” Quindi sono arrivata preparata.

L’impiegato torna allo sportello e mi consegna il foglio del permesso provvisorio. Controllo i dati inseriti, certa che sia tutto in ordine e.. no, non ci credo, pure gli svizzeri sono umani e commettono delle sviste, la data di nascita riportata è quella di mia mamma e non la mia, la confederazione mi ha appioppato d’emblée 26 anni di più!

Ristampato il documento corretto, mi dirigo alla Casa Comunale e mi annuncio all’ufficio preposto.

Credevo di non tornare più a casa.

L’omino dietro il vetro è un ragazzetto di circa 16 anni, evidentemente al suo primo giorno di apprendistato, per cui il responsabile dell’ufficio segue la procedura passo passo, chiedendomi ogni singolo dato, anche se già riportato sui documenti.
Così il ragazzetto impara.
Mi viene anche chiesto, dal suddetto fanciullo, il mio cognome da nubile.
Oibò, considerato che sui miei documenti c’è un cognome diverso da quello riportato sui documenti di mio marito, mi son chiesta se fosse soltanto in confusione lui o se volesse mettere in confusione me.

Mi chiede anche la data del matrimonio, e, alla mia risposta, il responsabile spiritoso replica con “suo marito ci ha dato la stessa versione” e ancora il luogo del matrimonio e ribatte con “anche su questo suo marito ci ha dato la stessa versione”.
Le matte risate..
Il sottile umorismo svizzero ancora mi lascia interdetta.

Altre domande, altre risposte. Mi chiedono anche quale sia la mia religione..

Ci tengono a sottolineare poi che, avendo dichiarato io i nomi e le date di nascita dei miei genitori e non avendoli appresi da un documento ufficiale, nel caso avessi necessità di farmi rilasciare un documento dal Comune, i suddetti dati non verrebbero riportati.
Della serie, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.

Insomma, sono arrivata da poco e già sono felicemente basita da tanta cura, precisione, accortezza e gentilezza.
Non è solo che in Svizzera tutto è in ordine e pulito, è così perché le persone ci tengono, anche a fare bene il proprio lavoro.
Spero di dimenticarmi presto come (non) funziona dall’altra parte del cancello.